lunedì 8 aprile 2013

Nuove sostanze


"Il tema di fondo di questo scritto è che il rinnovamento dell'architettura che stiamo vivendo in questi ultimi anni e in cui questa rivista si inserisce, non è solo un fatto di gusto, di moda, di linguaggio ma che stanno affermandosi, appunto, nuove sostanze e con esse nuove crisi ed opportunità.

Quando i nostri accademici attaccano gli aspetti pubblicitari, ludici, comunicativi, spettacolari, frammentari delle ricerche contemporanee a noi sembra riproporsi lo stesso equivoco e lo stesso paradosso della generazione Art nouveau a confronto dei rappresentanti della Neue Sachlichkeit. Apparentemente si attacca un'estetica, in realtà ci si oppone a una tensione al rinnovamento, al cambiamento, alla presa di coscienza di una diversa visione del mondo."

E' affascinante come questa citazione, tratta dall'articolo del professor Saggio, metta in luce uno dei punti cruciali di quello che è il dibattito architettonico degli ultimi anni: il contrasto aperto tra coloro che, coraggiosamente, "vogliono cavalcare" la nascente crisi generata dall'informazione e coloro i quali si oppongono strenuamente ad essa, ancorati ai loro dogmi e alle loro credenze.
Ci troviamo a essere testimoni, volenti o nolenti, di uno dei momenti che maggiormente ha cambiato la storia del genere umano: il passaggio da una società industriale a una che invece getta le sue fondamenta nella cosiddetta "informazione". E' innegabile che, in un momento cosi importante come questo, in cui vi è un graduale scambio di testimone tra le due epoche, qualcosa stia cambiando, anche a livello sociale, artistico, culturale.
Eppure l'uomo, ancora, non riesce a farsene una ragione; sulle prime resta così, spiazzato e confuso di fronte questo processo inarrestabile che, come un vortice, produrrà dei cambiamenti: dopo la crisi, dopo la tempesta si aprirà una fase di nascente "modernità", che ogni individuo potrà scegliere di "cavalcare" - parafrasando una definizione del professor Saggio - oppure evitare, con il rischio di essere comunque sommerso da essa.
E' come se, frammento dopo frammento, l'essere umano dovesse cominciare lentamente, la ricostruzione di un proprio modo di sentire e vivere il rapporto con il mondo in evoluzione attorno a lui. Ha bisogno, quindi, di un nuovo "paradigma mentale" che gli consenta di poter comprendere come questi cambiamenti non siano solamente puro gusto, orpello o estetica, ma siano il sintomo più profondo di un passaggio, di un'evoluzione che si è resa necessaria per innescare lo step successivo, per aprirsi ad una nuova fase dell'esistenza umana.
Come in tutte le grandi rivoluzioni, prendere coscienza di questo processo implica dei sacrifici e delle rinunce, comportando la messa in discussione, l'autocritica e la rivalutazione del proprio "modus operandi". Dunque, andando a demolire tutte quelle certezze che, in fondo, non sono altro che occultamenti della realtà, si cercherà di stabilire nuove basi da cui poter iniziare nuovamente, un po' come dopo un reset.
L'architettura in tutto questo processo non è rimasta a guardare, si è subito posta in prima linea per offrire le proprie soluzioni e l'architetto, come l'artista o il poeta, si è subito prodigato per cogliere le incertezze e le insicurezze dei propri contemporanei per cercare, a modo suo, di darvi risposta. Molto più di altri, forse, è stato in grado di cogliere, nel suo campo di azione, le conseguenze reali che questa "rivoluzione" ha portato dal momento della sua comparsa nella storia umana. L'informazione ha letteralmente sconvolto il nostro territorio disciplinare, generando la creazione di nuove categorie d'intervento e riflessione che fino a nemmeno 50 anni fa sembravano la mera fantasia di architetti "visionari" o appartenenti a una nicchia destinata a scomparire. Termini come urbanscape, paesaggio, comunicazione, funzionalità, spazio-sistema, si caricano di un nuovo significato: il suono è lo stesso ma il messaggio veicolato è totalmente differente.
Urbanscape è un nuovo modo di dialogare con la città. Una città ferita, logora, privata di una propria identità e dei propri simboli da una reiterazione di politiche architettoniche non in sintonia con i nuovi bisogni umani, ma legate ad una visione anacronistica proiettata ancora verso un periodo industriale che non ad uno informatico. In questa nuova ottica, elemento di riflessione sono le brown areas, o aree dismesse, testimonianza di un'ideale ottocentesco di fabbrica oramai desueto. Aree che rappresentano delle vere e proprie lacerazioni nel tessuto urbano che l'architetto può sanare, può ricucire e rivalorizzare con operazioni mirate, che hanno le loro parole chiave nei termini ibridazione, stratificazione e residualità.
Paesaggio è un termine in stretta relazione con la parola risarcimento. Ovvero risarcire il paesaggio di ciò che gli è stato tolto in favore della macchina e delle sue ramificazioni. Contrappore ad un sistema votato alla dominazione dell'elemento naturale un sistema che invece lo valorizza e lo tutela. "Filling", "pluri funzionalità", "antizoning" sono parole che celano un significato più profondo di quello che il termini sembrano suggerire, generando una relazione con la natura non più anti-romantica come i secoli precedenti ma più vicina ad una comprensione e rispetto di essa, complici le nuove possibilità offerte dall'informazione.
Comunicazione è un concetto che investe una sfera molto più ampia della semplice architettura. Segna il passaggio da un sistema fondato su messaggi asseritivi e oggettivi (questo dentifricio rende i denti più bianchi) ad un sistema di messaggi che invece lasciano spazio alla sensibilità e alla soggettività dell'individuo (questo dentifricio ti donerà un sorriso splendente). Messaggi che non hanno paura di essere "simboli", ma vogliono fare del momento della comunicazione un momento profondo, dove, al fluire delle parole, si crea una risonanza che non investe solamente in modo meccanico il senso dell'udito, ma scuote un insieme infinito di variabili nell'animo di chi ne viene investito. Ciò di cui i pubblicitari più lungimiranti si servono, ricorrendo al cosiddetto "human insight", abbandonando le strategie di comunicazione basate meramente sul "behavior", che parla sì del prodotto e della sua funzionalità, ma non diviene mai messaggio, verità intrinseca, motivo comune e dunque emotivo.
Pluri funzionalità segna il superamento dei vecchi diktat di coerenza e organicità all'interno di un elemento quale può essere un organismo architettonico. Si è sempre pensato che solamente una mono funzionalità potesse permettere di ottenere il massimo in termini di economicità/rendimento da un edificio. Oggi si è capito che non è più così, proprio la pluralità è la forza che rende possibile realizzare un sistema perfetto nelle sue molteplici parti. Si è riuscito a dimostrare che proprio una logica anti-kahniana, può essere la soluzione a problemi che invece proprio nella "scissione" e nella "libertà delle parti" trovano la loro intriseca soluzione. Mixitè funzionale non è quindi solamente un orpello accessorio o un gradevole gioco neolinguista, ma una concreta proposta figlia di una forte presa di coscienza delle nuove possibilità a noi conosciute.
Spazio- sistema infine è l'ultimo tassello del mosaico che con forza dirompente scardina tutti i dogmi e i paradigmi appartenenti alla vecchia estetica industriale. La separazione tra "organo spaziale" e la sua funzione. Lo spazio interno, come il motore nella macchina, non è più l'elemento cardine e su cui concentrare la propria attenzione nell'atto della progettazione architettonica. Non esiste più un "esterno" da sacrificare in favore del corretto funzionamento di un interno. Entrambi i due elementi son diventati negli ultimi 15 anni "motori" di un architettura che non crede più in una scissione totale tra spazio pubblico e spazio interno, ma che vede nei due momenti uno la prosecuzione nell'altro. Il volume esterno non è più mero involucro contro gli agenti atmosferici o guscio protettivo senza una propria identità: esso è pelle, è sistema nervoso dell'edificio, è un "simbolo" che è lì, manifesta la sua presenza e con essa comunica.
Di fronte a questi nuovi elementi così forti e che ci toccano da vicino ci domandiamo come sia possibile che molti ancora liquidino il significato di questa ricerca come una questione estetica fine a se stessa. Come sia possibile sentir parlare di un'architettura che fa dell'elemento formale il suo cardine e che si oppone alla "buona architettura" ovvero quella che ha nella funzionalità la ragione del suo essere.
Oggi infatti abbiamo a che fare con un'estetica di rottura che si propone non solo come puro esercizio stilistico, ma come esemplificazione di un'architettura che è tornata a informare e sognare. Un'architettura che, ricollocando la funzionalità in una nuova scala di valori, si è finalmente appropriata di un significato simbolico, che si oppone a chi millanta ancora la forza di idee e parametri di indagine oramai vecchi che non contengono conto della nuova velocità e delle nuove variabili e "traiettorie" che investono il mondo nel quale viviamo. Un'architettura che ha fatto della crisi il momento propulsivo per liberarsi di un ingombrante passato e risvegliarsi in una veste tutta nuova e informativa.

Riporto qui di seguito il link all'articolo originale del prof. Antonino Saggio che è stato l'ispirazione per la stesura di questo commento. (Antonino Saggio - Nuove Sostanze)

domenica 7 aprile 2013

Paradigma

Dopo la lezione del corso ITCAAD n°6 dal titolo "Il Catalizzatore" il professor Saggio ci ha richiesto di estendere anche al paradigma informatico lo schema della mappa concettuale mostratoci a lezione.
Ho riflettuto molto sui concetti espressi e ho cercato di dare una mia interpretazione di quelli che potrebbero essere, a mio giudizio, i termini esemplificativi di tale paradigma.


PROGRAMMA
Cerimoniale, celebrativo / Omnicomprensivo / Mixitè polifunzionale

COSTRUZIONE: struttura
Continua / Puntiforme / Parametrica e ottimizzata

IDEA DI CITTA'
chiusa / aperta / cava e interstiziale

ESPRESSIONE
Sintetica, Figurativa, Unitaria / Analitica, Astratta, Frammentaria / Simbolica, Informativa, anti-kahniana

METODO
tipologico, per calare dentro la forma le attività / a-tiologico partire dalla attività / relazionale basato su sistema di interconnessioni che dominano i rapporti tra le parti

VISIONE
figurativa e relazione / astratta e assoluta / proattiva, assoluta, sensibile

CATALIZZATORE
prospettiva / trasparenza / relazione
Note

Mixitè polifunzionale: nel periodo del paradigma informatico oramai l'idea di un edificio che soddisfa appieno le aspettative poichè monofunzionale è desueta e sorpassata. Si è visto come edifici caratterizzati da una nuova polifunzionalità risultino perfettamente rispondenti alle continue trasformazioni del mondo odierno.

Parametrica e ottimizzata: se la già la struttura puntiforme aveva messo in luce i limiti di una struttura continua altrettanto è stato fatto nei confronti della prima dalle ricerche portate avanti negli ultimi anni.
Le ricerche sull'IT hanno messo in luce la possibilità di strutture parametriche e ottimizzate basate su un sistema generativo basato sulle relazioni tra dati.


Cave e interstiziale: all'interno della città vi sono oggi aree dalle forti potenzialità inespresse. Aree residuali o brown areas che si formano proprio nelle aree interstiziali nate dal ritiro della precedente città industriale. Una città quindi piena di "cavità" nel proprio tessuto che non attendono altro che la propria possibilità di riscatto.

Simbolica, informativa, anti-kahniana: l'architettura di oggi si base su un metodo nuovo né figurativo né astratto. Questo segna il passaggio da una comunicazione basata su sistemi asseritivi oggettivi a sistemi invece basati su un sistema di informazioni che lasciano spazio alla sensibilità e all'individualità del singolo. Il tutto spinto da una logica anti-kahniana che non pone la mera funzionalità quasi forza dominante dell'intero edificio.

Relazionale basato su sistema di interconnessioni che dominano i rapporti tra le parti: alla base del processo ideativo non ci si affida più né ad un sistema tipologico né ad uno a-tipologico che aprioristicamente determina la direzione da intraprendere.
Si preferisce invece, spinti da una visione informativa e comunicativa, affidarsi ad un complesso sistema di relazioni che come nella tessitura di una ragnatela, creano una struttura generativa primaria dalla quale, grazie al sistema di interconnessioni e input-output si giunge alla soluzione ottimale.

Proattiva, assoluta, sensibile: la visione che caratterizza il terzo paradigma è una visione, un approccio all'architettura sicuramente proattiva e propositiva nei confronti delle nuove crisi. Si sviluppa quindi una visione che inoltre è anche assoluta e sensibile, basata su un'estetica completamente diversa dal passato dove è la sensibilità stessa a poter cambiare la visione o la percezione di un determinato elemento, sia esso la "pelle" di un edificio, sia esso un sistema di elementi interconnessi nell'opera.

Relazione: intorno ai punti esposti sopra aleggia un termine che ho identificato come catalizzatore: "Relazione". Il terzo paradigma genera un sistema di riflessioni complesso, dove si supera l'imperante univocità del sistema di elementi che avevano dominato il paradigma precedente.
Ad un sistema che potremmo definire a compartimenti stagni se ne sostituisce uno dove nessun elemento è slegato dall'altro, ma risultano essere tutti intrecciati tra di loro in modo variegato e soprattuto non lineare. Proprio quindi ogni singola relazione che intercorre tra questi elementi è l'elemento catalizzatore che a mio giudizio genera la nuova estetica.

venerdì 22 marzo 2013

Architettura Parametrica | Waterloo Int. Station


La Stazione di Waterloo, situata nel cuore di Londra, è un terminal internazionale cruciale per il trasporto ferroviario; muove più di 15 milioni di passeggeri l'anno e occupa una superficie di 60.000 mq.
Nel 1993 è stata ampliata per diventare il centro principale di snodo degli Eurostar e garantire un veloce collegamento con Parigi e Brussels. I lavori progettati e realizzati dallo studio di architettura di Nichols Grimshaw e da vari team di ingegneri ad esso associato.

L'intento era quello di evocare nella nuova stazione l'immagine di una corrente fluida con rimandi all'epoca industriale ed a un nuovo tipo di sistemi di trasporto.
L'area concessa per l'ampliamento era abbastanza ampia solo per contenere 5 ulteriori binari, relegando tutti gli impianti elettrici su un lato e i camminamenti per i passeggeri dall'altro; il tutto situato in una zona particolarmente ventosa e che tendeva a stringersi nella parte più interna del lotto.

La copertura, della lunghezza di 400 m, è un esempio di grande perizia tecnica come si può notare dalla forma particolarmente asimmetrica, che segue la forma dell'are di progetto, che va via via rialzandosi per potersi adeguare alle altezze dei treni.
L'esterno è completamente rivestito in vetro e offre una vista notevole sulla città di Londra, in particolare sul Tamigi e su Westminster.


Strutturalmente il tetto è formato da gruppi di 3 corde d'arco che, fissate nello stesso punto, creano un sistema di arcate. Questa complessa struttura copre una superficie le cui dimensioni variano tra i 50 m di larghezza all'ingresso, che poi divengono 35 nella parte terminale posteriore della stazione.
Il tetto è flessibile, con un sistema precisamente studiato di lamine di vetro sovrapposte che possono contrarsi o estendersi a secondo delle sollecitazioni ricevute dalla copertura.
La struttura è formata da due diverse travature curve: una più larga nel lato più interno e una secondaria più piccola.
Il progetto è stato modellato da Lars Hesselgren con il software I_EMS e in un secondo tempo rimodellato da Robert Aish con il Microstation Generative Component.
Le travi sono state calcolate con un programma che modifica le misure di ogni modulo secondo un complesso sistema di equazioni pitagoriche; grazie ad esse è prodotta una superficie continua di sezione variabile, con altezze dei raggi proporzionali alle luci sostenibili da ogni elemento.

Il progetto, ed in particolare la sua copertura, mostra come, stabilito un sistema di variabili e tessute tra esse una serie di relazioni dipendenti dalle peculiarità del progetto, si possa generare una forma che sia figlia di tali interrelazioni tra elementi.
Si capisce quindi come l'Architettura Parametrica non sia solamente forma fine a se stessa, ma la forma sia solo l'elemento finale di un processo generativo particolarmente complesso in cui la forma è elemento importante ma non fine ultimo.

Architettura Parametrica | Padiglione Philips


L'esposizione di Bruxelles ebbe luogo tra il 17 Aprile e il 19 Ottobre 1958 e vide la partecipazione di 43 paesi con un'area totale occupata di ben 200 ha.
La compagnia Danese Philips, incaricò Le Corbusier di progettare un padiglione che mostrasse le innovazioni tecnologiche nel campo della luce e del suono.
Le Corbusier formò un eterogeneo gruppo di collaboratori, che includeva l'ingegnere e musicista Iannis Xenakis, per realizzare un padiglione che fosse un luogo perfetto per proiezioni e spettacoli audiovisivi.

Il "Poema Elettronico", elaborato lo stesso anno da Le Corbusier come un esempio di totale integrazione tra tutte le arti, fu concepito come un'esperienza multisensoriale per i visitatori del Padiglione Philips.
Questo lavoro includeva musiche di Varèse e Xenakis e la proiezioni di immagini sui muri interni dell'edificio che ripercorrevano tappe importanti della storia umana.
Seguendo il progetto di Xenakis, che sin dal 1948 lavorava nello studio di Le Corbusier come ingegnere strutturale, il suono avrebbe seguito gli spettatori durante tutta la visita al Padiglione, con una maggiore o minore intensità o una diversa direzione, in modo da dare agli spettatori una diversa percezione spaziale dello spazio in cui si trovavano grazie ad esso.
Basandosi sui suoi esperimenti nella composizione "Metastasi", creata tra il 1953 e il 1954, Xenakis elaborò una musica caratterizzata da continue variazioni, ricavate attraverso "toni intermedi" (cosiddetti glissatti).

Seguendo lo schema di una curva disegnata da Le Corbusier, con entrata e uscita su entrambi i lati, Xenakis propose l'uso di 8 superfici sviluppabili prodotte dal movimento nello spazio di una linea retta come generatrice geometrica. Tramite l'uso di pannelli prefabbricati in cemento si sarebbe ottenuto il rivestimento di tali superfici, che avrebbero occupato un totale di circa 500 mq.
Al piano terra possono essere facilmente riconoscibili i tre ambienti principali che compongo il percorso: l'entrata e i locali tecnici, la grande sala per il pubblico e l'uscita.


Il disegno qui sopra, chiamato "Croquis n°11" esprime il processo generativo ideato da Xenakis per comporre la forma del Padiglione.
Secondo la descrizione fatta dallo stesso progettista, questo disegno rappresenta quattro figure originate da un cono. Abbiamo il volume conico "E", il giunto "L" e la superficie generata dalla relazione tra questi due (A/D); ci sono inoltre due paraboloidi iperbolici (G/K) e in ultimo, due triangoli vuoti che rappresentano gli accessi al padiglione.
I paraboloidi iperbolici furono pensati per semplificare le componenti strutturali e allo stesso tempo dare all'edificio una forma esile e brillante.
Nella sua incarnazione finale, le forme coniche A, D e E furono sostituite con paraboloidi iperbolici in modo tale da poterne aggiungere altri 4, rispettivamente chiamati B, N, F, e C. Per far ciò fu necessario aumentare la differenza di altezza tra i vertici, tanto che il primo fu portato ad un'altezza di 21 metri.
La proiezione delle curve così generate in piani di intersezioni con i punti di vertice e tracce rettilinee proiettate a terra fece sì che si sviluppasse un controllo "parametrico" della forma per la successiva fase realizzativa; si proseguì con l'utilizzo del raggio delle curve per la creazione di profili connessi tra loro e dei "loft" in 8 differenti traiettorie diagonali per creare le superfici variabili interconnesse.
Questo complesso sistema geometrico portò allo sviluppo di una forma che aveva una grande e continua spazialità arricchita da una forte innovazione espressiva, primo vagito di un nascente campo di indagini architettoniche che tanto si svilupperà negli anni successivi raggiungendo il suo apice a cavallo tra ultimi anni del XX e primi anni del XXI secolo.

Architettura Parametrica | A Short History


Negli ultimi anni, la definizione "progettazione parametrica" è stata largamente usata all'interno della pratica architettonica, associato principalmente all'uso di avanzate tecnologie digitali in progetti complessi.
Tuttavia il concetto di "parametrico" e le sue applicazioni in architettura risultano essere ad oggi poco definite, relegando questa definizione più all'azione pratica legata all'utilizzo di determinati software che consentono la creazione di forme assai complesse, piuttosto che ad una chiara definizione del sistema di relazioni che intercorrono tra i vari "parametri" durante il processo ideativo-progettuale.

Il termine "progettazione parametrica", infatti, sta ad indicare una progettazione basata sull'adozione di "parametri". Secondo i dizionari ufficiali, la parola "parametro" si riferisce ad un dato che modifica una situazione, ma poiché tutti i progetti di edifici sono influenzati da condizioni esterne, questa definizione non riesce a dare una risposta esaustiva circa l'importanza dei "parametri" all'interno della progettazione architettonica.
Esiste anche una definizione matematica del termine che riconduce la parola "parametro" ad una scala di valori.
Questo significato venne introdotto da J.L. Lagrange nel 1774 per indicare delle equazioni differenziali che usassero delle variabili addizionali; tutto ciò venne poi implementato nella geometria analitica per l'elaborazione di curve complesse.

L'uso dell'elemento "parametro" all'interno del calcolo computazionale avviene durante gli anni '70, con il nascente metodo di descrivere delle curve attraverso equazioni parametriche, tramite il lavoro embrionale di Steve Coons (1967) riguardante lo studio di forme complesse e delle equazioni alla base della loro generazione.
In campo architettonico il primo a parlare della possibilità di un approccio parametrico alla progettazione architettonica fu Gross (1990), il quale affermò le grandi potenzialità dei "parametri" nell'elaborazione di forme complesse applicabili ad edifici.
Poco dopo, precisamente nel 1993, Serrano fu il primo a dare un esplicita definizione implicazioni che delle procedure "parametriche" generavano in ambito progettuale, portando a sostegno della sua tesi le sue idee per il completamento della "Sagrada Familia" di Gaudi mediante l'uso di modelli computerizzati basati sull'uso di superficie controllate digitalmente.

Ma fu solamente dieci anni dopo che le possibilità della "progettazione architettonica parametrica" furono ampiamente documentate ed analizzate nell'ambito di una tesi di dottorato al MIT.
Questo evento segnò una presa di coscienza riguardo le nuove possibilità riguardante le forme, riconoscendo i "parametri" come le variabili alla base della modellazione di componenti strutturali.
Inoltre, Dennis Shelden, capo del settore informatico nello studio di Gehry, nella sua tesi di dottorato (2002) al MIT, espose i processi di elaborazione utilizzati da lui per i suoi edifici e basati sulla "progettazione parametrica".

Un prematuro uso della parola "parametrico" è applicabile ad alcuni progetti non realizzati dell'architetto italiano Luigi Moretti, come ad esempio quello del 1960 da lui elaborato per uno stadio.
Per molti però il primo esempio di architettura parametrica nella storia è il "Padiglione Philips" ideato da Le Corbusier e Iannis Xenakis per l'Esposizione Internazionale di Bruxelles del 1958.
A partire da questi primi embrionali studi, l'"Architettura Parametrica" ha pian piano trovato la propria completa manifestazione nelle forme e nei processi generativi messi a punto dai maggiori architetti dell'ultima decade che proprio su un sistema fondato su "parametri" e "relazioni" hanno concentrato i loro studi e le loro energie.

sabato 16 marzo 2013

Crisi e Paradigmi Mentali


Prologo

“Riflettere sul concetto di “crisi” ed identificare una situazione di difficoltà di varia natura e possibilità a cui offrire una soluzione”.
Con l’assegnazione di questo compito si era chiusa la lezione dell’11 marzo del Corso ITCAAD13. Nuovamente il professor Saggio ci aveva lasciati di fronte ad una nuova sfida e a tutta una serie d’interrogativi da sciogliere e, nonostante ci avesse dato le “armi” per trovarvi una soluzione, toccava a noi capire come usarle.

Tornato a casa, ho subito cominciato a ragionare per identificare una “crisi” della quale potessi parlare e attorno cui sviluppare un concept che ne proponesse una soluzione.
Le prime idee erano indirizzate tutte verso situazioni che, nonostante fossero di effettiva problematicità, non sentivo mie e non stimolavano un mio rapporto empatico con esse, tale da considerarle idonee allo svolgimento del concept.
Volevo qualcosa che fosse da me conosciuto e sperimentato in quanto studente ed individuo, qualcosa di cui potessi parlare esaustivamente poiché appartenente ad una mia sfera personale.
Ho cominciato a pensare: “Quale potrebbe essere una mia situazione di “crisi”, in questo determinato momento, tale da poter essere idonea allo svolgimento dell’esercitazione?”
Posta nei giusti termini la domanda, la risposta è arrivata in modo consequenziale: “la mia crisi in questo momento è proprio il corso ITCAAD13 del professor Antonino Saggio”.

Concept

Immaginate di aver trascorso 5 anni all’interno di una facoltà, quella di Architettura, dove vi hanno sempre parlato del concetto di “forma”, ponendolo in una relazione univoca con il concetto di “funzione”; di aver lavorato per tutti i vostri anni di corso in una direzione che ritenevate “giusta” e non soggetta a “confutazioni” di alcun genere.
In fondo, vi sarete detti, avete studiato in una della facoltà più rinomate a livello europeo, come si può dubitare, quindi, di ciò che ti è insegnato?
Siete quasi pronti a laurearvi con il vostro bagaglio di certezze sennonché, un giorno, quasi per caso, vi ritrovate nella classe ITCAAD del professor Antonino Saggio; pensate che si tratti dell’ennesimo corso di “Progettazione Architettonica” e non siete molto preoccupati, le vostre “armi” nel corso degli anni le avete affinate; ritenete di avere gli “strumenti” per potercela fare e concludere un esame che in fondo “non potrà essere così differente dagli altri”. All’improvviso arriva il docente e, in men che non si dica, comunica con parole che sì, avete già ascoltato, ma alle quali lui dà un significato ed un’interpretazione nuova. Giusto il tempo di arrivare a fine lezione che vi alzate, tornate a casa e siete ufficialmente “in crisi”.

Questo potrebbe essere il riassunto di ciò che è accaduto a me durante queste prime lezioni del Corso ITCAAD13 e che mi hanno portato a scegliere proprio il corso in sé come “crisi”.
Nonostante avessi già incontrato il professor Saggio durante il mio percorso didattico, questo nuovo ciclo di lezioni tenute da lui ha iniziato fortemente a cambiare la mia prospettiva di vedere le cose e ad aggiungere nuovi tasselli, nuove “informazioni” al mio bagaglio universitario, stravolgendo completamente il mio precedente “paesaggio mentale”.
Parole come “dato”, “informazione”, “simbolo”, elementi fondamentali delle ricerche del professor Saggio in quella che lui riconosce come “Rivoluzione Informatica”, unite ai molteplici discorsi e temi affrontati a lezione, non riescono a lasciarti indifferente, attivano in te tutta una serie di processi che, inizialmente non sai dove ti possano condurre.
Proprio in questo sta la “crisi” da me identificata.
Nella sensazione di entrare, per la prima volta, in un mondo nuovo e insolito, fatto di parole che già sentite ma dal significato differente; un mondo che non conosci minimamente e che, come fosse un’isola nel Pacifico in cui sei per caso approdato, inizialmente sembra privo di una chiave di lettura.
E proprio qui sta la soluzione alla base del mio concept.
La soluzione della “crisi” è proprio nella ricerca dello “strumento” che riesca a far chiarezza su questo nuovo mondo che ci si para davanti.
Approfondire, sperimentare, comprendere nel profondo la “Rivoluzione Informatica” e le sue implicazioni ci consente di relazionarci in modo dinamico con essa e di identificarla quale “strumento” che riesca a darci una chiave per interpretare queste nuove suggestioni alle quali siamo invitati a partecipare.
Nel momento in cui lo “strumento” è nelle nostre mani, esso concorre a molteplici fattori. Può,  diventare elemento tramite il quale riuscire a padroneggiare il nuovo “paesaggio mentale” che il corso ITCAAD ha contribuito a creare e alimentare dentro di noi. Un paesaggio che possiamo tradurre come “un tentativo di spazio operativo cui dare progressivamente forma attraverso il lavoro e in cui rivestono parte fondamentale gli strumenti”.

Epilogo

Il mio concept vuole essere, in conclusione, un momento di profonda riflessione personale, nel quale ho tentato di far presente come possa essere appassionante, ma al tempo stesso motivo di “crisi”, misurarsi con nuovi “paradigmi mentali” come quelli proposti nel Corso.
Paradigmi che, al tempo stesso, sono causa e soluzione della crisi, in un profondo e complesso rapporto basato su connessioni, interattività e scambio dinamico di informazioni.

lunedì 11 marzo 2013

Sul concetto di "Crisi e Modernità"


Tratta da una mail inviata al prof. Antonino Saggio il 9 Marzo 2013

"Buona professore,
 ripensando al concetto di "Crisi e Modernità" mi domandavo se 
 quest'opera di Cattelan ("La nona ora") non potesse essere 
 significativa riguardo questo rapporto.

 In questa installazione dal carattere provocatorio e dissacrante Cattelan 
 rappresenta il pontefice sotto il peso di un meteorite (la modernità); 
 il Papa, simbolo di un post-capitalismo e di un'istituzione religiosa 
 avida e cinica, rende manifesta la crisi della Chiesa, che non riuscendo 
 a fronteggiare l'atteggiamento moderno, ne diviene succube.
 In tal senso, la modernità è ciò che, facendo della crisi un valore, 
 genera un'estetica di rottura con il passato.
 Sebbene l'opera possa prestarsi a molteplici interpretazioni, questo è 
 sicuramente un passaggio determinante alla base del processo creativo 
 dell'artista.

 La ringrazio per l'attenzione
 Disinti Saluti

 Valerio"

 

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