"We are a group of people from all over the world asking one simple question: "what do you hope for?"."
Volevo condividere con voi la storia delle "Hope Chronicles"
A un anno dalla possibile rielezione di Obama, che aveva fondato la sua campagna proprio sulla parola "Hope", un ventiseienne di Los Angeles ha messo in mostra le "Hope Chronicles".
Una serie di quaderni zeppi d'interviste raccolte dai suoi volontari, studenti di una scuola superiore in un quartiere semi-ghetto dell'area sud di Los Angeles.
Speranze raccolte di persona, per telefono, per posta, online; centinaia di americani disposti a condividere le loro risposte alla domanda: "What you hope for?"
La mostra è frutto del lavoro, durato sei mesi, di questa folta schiera di volontari.
I quaderni, ricoperti di carta da pacchi, sono stati passati di mano in mano sugli aerei, in coda ai supermercati, nei mercati rionali, alle stazioni di benzina, all'uscita delle scuole.
Hanno risposto persone di diversa estrazione sociale, razza, religione, età.
L'ideatore di questa storia è Sam Lundquist, un giovane outsider che, con master in giornalismo alla University of Southern California e un'internship con conseguente offerta di lavoro da parte della NBC, ha deciso che una vita da giornalista gli sarebbe stata troppo "stretta".
Ad un lavoro basato a suo dire "sull'esaltazione delle notizie negative" lui ha preferito un lavoro che esaltasse invece la positiva e la speranza.
Di strada ne hanno fatti questi quaderni.
Il primo, quando ancora il progetto era in stato embrionale, fu fatto girare quasi per gioco da Lundquist mentre si trova su un volo che da Los Angeles lo stava riportando a casa nell'Iowa.
Dopo circa due ore di volo, il quaderno che aveva dato al suo compagno di posto, e che recava nella prima pagina le indicazioni da seguire, era pieno di risposte, speranze, opinioni, accomunate tutte dalla domanda: "What you hope for?"
Ad oggi si contano quaderni giunti fino a Cuba e altri chissà dove, senza dimenticare un sito internet che presenta commenti ed emozioni da ogni parte del mondo.
Perchè proprio "hope" e non "wish" o "dream"?
Lundquist spiega così: "avrei potuto chiedere "che cosa desideri" o "cosa sogni" invece di "che cosa speri".
Ma "desiderare" implica che qualcosa di "magico" avvenga, che il genio esca fuori dalla lampada per esaudirti.
"Sognare" oltre ad essere troppo disneyano, implica qualcosa che vuoi davvero diventi realtà.
"Sperare" è più delicato, astratto, lascia più spazio all'espressione individuale.
A Los Angeles abbiamo 15 milioni di "vicini" che nemmeno conosciamo. So che è irrealizzabile, ma a me piacerebbe parlare con tutti quanti. Faccia a faccia. Individualmente.
Alla fine tutto ciò che spero, è che il mondo diventi più piccolo. E che la gente diventi più grande".
Riporto questa notizia perchè quest'esperienza mi ha molto colpito e mi son chiesto: "E noi, cosa speriamo?"
Per maggiori informazioni e se volete esprimere la Vostra speranza:
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