domenica 8 aprile 2012

Compagni strada | Ricerca della Metafora | 1


Daniel Libeskind | Museo Ebraico (Jüdisches Museum) 
Berlino | Lindenstraße 9-14 | 1989 - 1999

"Il potere della memoria" | Keyword: "Memoria"

L’opera scelta da analizzare è il Museo Ebraico (Jüdisches Museum 1989-1999) di Berlino, ad opera di Daniel Libeskind.
Partendo dalla sua visione dell’architettura, vista come un’interconnessione di strati, di sistemi, di processi, egli elabora un mondo lacerato, chirurgicamente ripresentato, con le sue parti liberamente riproposte in una climax drammatica.

In questo contesto elabora quello che tutt’ora viene ritenuto il suo capolavoro, il Museo Ebraico a Berlino.
L’immagine che ci trasmette è quella di una linea spezzata e obliqua che prima è compressa nel racchiudersi degli angoli e poi si slancia come una freccia aperta zig-zagando verso l’infinito.
A questa freccia si sovrappone un’altra figura rettilinea che incrociandola crea ulteriore tensione.

Gli spazi interni sono a loro volta frammentati, lasciando allo spettatore una molteplicità di effetti visivi, giochi di luce e scorci prospettici, con percorsi che lasciano sempre spazio a nuovi bivi e nuove soluzioni distributive.


La Metafora

Ho scelto quest’opera perchè ogni volta che mi sono ritrovato a guardarla ne sono sempre rimasto colpito e affascinato, ha sempre scatenato in me qualcosa, anche solo ad una rapida occhiata.
Ritengo che Libeskind in questa sua opera abbia utilizzato un’approcio emotivo, riflessione del suo mondo interiore.
Un mondo interiore che, date le sue origini ebraiche, risultato frammentato, lacerato, ancora sensibile al dramma del suo popolo, ancora scosso dalla “Shoah” e da quello che per milioni di ebrei ha rappresentato.
Ne deriva un un’architettura dai segni forti, tagliata, ferita, quasi sembra essa essere dolorante sotto i colpi inferti dall’architetto, colpi che ne mettono a nudo fragilità e struttura, che tirano fuori da essa la propria “interiorità”.
Anche la suddivisione delle varie aree, con i loro nomi, vuole stare ad indicare un percorso che potremmo definire liberatorio, purificatore. Accanto al Museo vero e proprio abbiamo il giardino esterno chiamato “Giardino dell’Esilio”, che con le sue 49 colonne di cemento vuole simboleggiare l’anno della nascità dello stato d’Israele.
Infine accanto a quello che è stato rinominato “asse della morte” troviamo la “Torre dell’Olocausto”, completamente buia, non climatizzata, inospitale sia d’inverno che d’estate.
L’opera di Libeskind, a mio giudizio, non è solamente un museo ma una vera e propria dichiarazione d’intenti da parte dell’architetto, che ha deciso di fare i conti con se stesso, con la sua rabbia, le sue paure e il proprio passato, generando un edificio che ha funzione per lui catartica e purificatrice, una presa di coscienza del suo mondo interiore.


Parole Chiave

MOVIMENTO | Dinamicità

TENSIONE | Contrasto

LACERAZIONE | Dolore


IL DOLORE | Metafora

Il dolore come lacerazione, il dolore come fuoco che brucia nelle vene.
Analizzando l’opera in esame l’immagine più forte che mi è venuta alla mente è stata quella del dolore, fisico e emotivo dell’architetto che si ripete anche nelle scelte formali e linguistiche.
Le forme introspettive, i tagli nella struttura, la luce che si diffonde attraverso spazi vetrati stretti e angusti, un corpo imprigionato, un’anima lacerata, e se vogliamo scendere più a fondo, una rappresentazione del mondo interiore dell’artista che deve fare i conti con il suo passato e con la sua storia.
Il dolore quindi, a mio giudizio, è motivo e filo conduttore dell’intera genesi progettuale in un continuum di sensazioni che porta però ad un’accettazione e sconfitta di esso.


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