giovedì 19 aprile 2012

Analisi | Parte Settima


Parte settima
Il successo dell'architettura nel mondo: 1988 | 2000
Dalla mostra del Decostruttivismo al Guggenheim di Bilbao

Il mondo decostruito
Il 1988 è uno di quegli anni che possiamo considerare cruciali per l'architettura.
Si apre infatti con una grande mostra dal titolo "Deconstructivist Architecture". La mostra, svoltasi al MOMA di New York, ha come ispiratore Philip Johnson e nel ruolo di curatore il più giovane Mark Wigley.
Essa è l'esemplificazione di come un'esposizione, quando si ha veramente qualcosa da dire, riesca ad influenzare il dibattito architettonico per gli anni a venire.


Alla mostra sono invitate sette tra le personalità di spicco del campo architettonico di quegli anni.
Esse sono:
Frank O. Ghery: che a causa di un'altra esposizione partecipa distrattamente
Zaha Hadid: che nulla finora aveva realizzato
Peter Eisenman: considerabile un coautore dell'intera operazione culturale
Coop Himmelb(l)au: sodalizio composto dagli austriaci Wold D. Prix, 
                                 Helmut Swicizinsky e Michael Holzer
Bernard Tschumi
Daniel Libeskind
Rem Koolhaas

Al grande successo dell'evento contribuirono sicuramente diversi fattori: il prestigio del MOMA, la stanchezza del dibattito e delle realizzazione architettoniche degli anni precedenti, il grande lavoro di Johnson e Wigley, ma sicuramente l'invenzione del nome fu un elemento catalizzatore di attenzione.
La parola "decostruttivismo" infatti è piena di echi e di risonanze.
In primis la connessione logica è con il pensiero di Jacques Derrida, il più famoso teorico della decostruzione filosofica o, come fu chiamato in quegli anni Post-strutturalismo. Se infatti lo Strutturalismo evocava i rimandi ai testi come elementi ermetici chiusi in loro stessi, il Post-Strutturalismo proiettava nuovamente il testo verso l'esterno però con chiavi di lettura nuove e destabilizzanti.
Per funzionare la decostruzione ha bisogno di un testo che possa essere letto in una chiave nuova, mai formulata prima, che permette di coglierne nuove sfumature e nuovi significati, prima taciuti.
Se volessimo fare un esempio in architettura, potremmo nominare la casa in stile olandese di Gehry (1978) a Santa Monica dove lui stravolge completamente la struttura del ballon frame e l'archetipo della casa americana offrendoci un'opera che rompe con la tradizione. (Casa Gehry)

Questa interpretazione di origine filosofica ha comunque poco a che vedere con il "Costruttivismo" nonostante gli evidenti richiami del nome.
I curatori della mostra giocano proprio su quest'ambiguità, supportata dal fatto che, alcuni architetti presenti (Hadid e Koolhaas) avevano dedicato più di uno studio al Costruttivismo.

Un'ultima considerazione va fatta sul suffisso del termine "Decostruttivismo" che sembra alludere proprio all'arrivo di un nuovo "ismo", di un nuovo possibile stile.
L'idea della nascita di un nuovo stile "decostruttivista", nonostante fosse aborrita da buona parte degli architetti presenti, fa presa sui media e sugli organi di stampa.
L'architettura è pronta ad un'epoca di grandi opere e fervore intellettuale, senza dimenticare però vari avvenimenti che hanno influenzato, durante questi anni, il suo background culturale.

Il mondo attorno a noi


Alla fine degli anni '80 il mondo sta cambiando velocemente.
Un giovane papa Karol Wojtila sostiene, a partire dalla sua Polonia, una serie di movimenti che puntano all'affrancamento dal blocco comunista.
L'URSS stessa vive un grande periodo di rinnovamento a seguito della salita al potere di Michail Gorbacev, che dà il via alla politica della Perestrojka.
L'obiettivo era uno, portare le regole del libero mercato all'interno dei paesi del blocco comunista. Il risultato fu disastroso e ci fu un successivo affrancamento dei vari paesi sovietici satellite.
La data fondamentale di questi cambiamenti fu il 9 Novembre 1989, giorno della caduta del Muro di Berlino e fine della dicotomia, fino a quel momento esistente, tra blocco comunista e blocco statunitese, comunismo contro libero mercato | capitalismo.
Nonostante molti altri sconvolgimenti mondiali (la prima guerra del Golfo, la guerra di Jugoslavia) sarà proprio Berlino uno dei centri nodali per la nascita di un nuovo sentire architettonico.

Il lavoro di Daniel Libeskind


Libeskind è un architetto "nuovo", dalla formazione culturale, umana, architettonica infinitamente varia ed eclettica.
Figlio di genitori sfuggiti all'eccidio dei lager, studia dapprima musica in Israele per poi laurearsi architettura alla "Cooper Union" di John Hejduk e infine specializzarsi in Storia e Filosofia nell'Essex.
All'inizio degli anni '80 si dedica alla realizzazione di opere, che potremmo definire dei veri e propri congegni, al limite tra una macchina leonardiana e uno strumento di tortura. Ad essi associa la sua visione del mondo, una visione influenzata dalla musica e dal fluire di uno spartito musicale assieme ad una voglia di rompere, di estendersi, con una tendenza a lacerare, ziz-zagare, espandersi in uno spazio nuovo.
A differenza di Eisenman per Libeskind il layer assume una forza drammatica. E' l'esemplificazione di un mondo lacerato che non può rimettere assieme i suoi pezzi.

Questa filosofia è espressa in una delle opere cardine del suo lavoro, il Museo Ebraico di Berlino (1989-99).
In quest'opera il museo si trasforma in una linea spezzata che prima si distorce e comprime e poi sembra quasi essere lanciata, per ziz-zagare e muoversi verso l'infinito.
Gli spazi interni si muovono in un continuum di intrecci e bivi, che poco spazio lasciano alla linearità; linee laceranti colme di dolore tagliano completamente l'involucro. Rappresentazione del mondo interiore dell'architetto nell'affrontare un tema così delicato come la Shoah.

L'edificio realizza un sistema nuovo di fare architettura.
L'architettura "comunica" sin dalla sua genesi. L'opera non è un vuoto contenitore, pura ginnastica formale, a cui "appiccicare" a posteriori un significato.
Il messaggio è intrinseco e da esso stesso si generano l'architettura e le sue forme.


La terza ondata.


Nel 1980 viene pubblicata il libro di Alvin Toffler "La terza ondata".
Lo scrittore afferma che dopo una fase storica, di parecchie migliaia di anni, basata su una società agricola ed una di circa centocinquantanni che potremmo definire civiltà industriale, si sta delineando una terza ondata caratterizzata dal ruolo cruciale dell'informazione negli ambiti economici e sociali.
L'architettura non è immune, e se negli anni '20 del Novecento lo scopo primario era avvicinarsi alla macchina, ora il centro d'interesse si sposta sull'elaborare una forma che informa.
Dall'esisto in quanto funziono si è passati all'esisto in quanto informo.

Metafora | Steven Holl


Proprio alla base di quest'opera di Steven Holl, il museo Kiasma di Helsinki, è sviluppato il tema della comunicazione ed in particolar modo dei processi di metaforizzazione.
In Holl vi è sempre stata una particolare attenzione all'intreccio tra spazi chiusi e spazi aperti per creare l'insieme del progetto, esemplificata attraverso uno studio quasi scientifico di angoli, deformazioni, campi di risonanza.

Il Kiasma si colloca in un'area centralissima di Helsinki; il progetto colpisce per l'intelligenza e l'originalità dell'inserimento del complesso ambiente urbano in cui si colloca.
Si compone di due corpi intersecanti. Uno rettilineo lungo il fronte stradale, l'altro incastrato su di esso a galleria. 
Oltre le grandi scelte stilistiche che lo contraddistinguono (finestre vetrate in pannelli d'alluminio, volta della galleria in zinco, il raccogliere e trasformari i flussi viarii) la vera forza del progetto è nel suo stesso nome, in quel Kiasma che altro non è che una figura retorica (Chiasmo).
In quest'opera infatti Holl parte dall'esterno, dalle forze della città per modellare i volumi e, da questa imposizione rispetto alla forma e alla funzione contenuta, genera la sua architettura.
Un'immagine metaforica è quindi il punto di partenza per la creazione dei percorsi, dei volumi, dell'articolazione degli spazi interni.

Il layer | Postdamer Platz


Gli anni '90 pongono l'interesse della comunità internazione su un altro importante tema, le brown areas o aree dismesse. Si tratta di tutte quelle aree un tempo destinate alla produzione industriale oggi abbandonate e che rappresentano un vero e proprio vuoto urbano (urban void) all'interno del tessuto cittadino.
Consci del fatto che lo spazio a nostro disposizione sul pianeta non è infinito e con una grande attenzione anche al tema della "ricostruzione del verde", gli architetti sono di fronte ad una nuova sfida: riqualificare queste aree, a volte anche centrali nell'evoluto tessuto urbano, e proiettarle nella nuova società.

Un esempio che meglio di tutti esemplifica questo processo è quello di Postdamer Platz a Berlino.
Il Renzo Piano Building Workshop (rpwb) vince il concorso indetto nel 1992, ed è suo il compito di procedere alla riprogettazione e rinnovamento dell'area.
Piano parte da un'idea cardine dell'architettura dell'informazione: l'"anti-zoning".
Se alla base della macchina, e della civiltà industriale, c'è una linearità, una zonizzazione dei processi e quindi della vita dell'individuo, divisa settori che mai si fondono tra di loro, la civiltà dell' informazione afferma proprio il contrario. I vari ambiti sono comunicanti, come una rete, un network, che li mette in connessione e ne permette l'interfaccia  e lo scambio. La vita stessa non è più mono-layer, ma multi-layer, multi-tasking, l'architettura deve farsi carico di questa nuova filosofia, di questo nuovo sentimento e proiettarlo nel suo campo d'azione, attraverso un concetto di layer e mixitè funzionale nuovo e dinamico.

Piano per far ciò si avvale dei migliori progettisti suoi contemporanei 
(Isozaki, Rogers, Kollhoff, Moneo, Lauber, Wohr) e da vita ad uno degli esempi più concreti e magnifici di architettura di fine secolo.

Ecologia | Biosphere 2


In questi anni l'architettura diventa sempre più sensibile ai temi che riguardano la natura e la sua salvaguardia, ponendo l'attenzione su metodi progettuali nei quali le regole formali della natura siano proiettate all'interno del processo architettonico.
Tra i più attivi in questo ramo abbiamo l'australiano Glenn Marcutt che genera architetture che si sollevano delicatamente dal terreno, quasi fossero generate da esso, che si alzano e si abbassano, alberature inamovibili che si librano nell'aria.
Proprio la sua casa Simpson Lee è il capolavoro del suo nuovo modo di vedere e sentire l'architettura in rapporto con la natura.

Ma senza ombra di dubbio Biosphere 2 rappresenta l'esempio più bello di questa nuova sensibilità architettonica.
Realizzata da John Allen si tratta di un progetto che, fortemente debitore alla cupola geodetica di Buckminster-Fuller, rappresenta a immagine e somiglianza la biosfera terrestre.
In un insieme di micro-sistemi che servono a studiare i fenomeni sistemici al quale il nostro pianeta è costantemente sottoposto.
L'esperimento consente di brevettare metodi che portino al 100% di riciclo dell'acqua, dei resti umani e animali, all'autogenerazione del cibo e a minime dispersioni d'aria all'interno di un ambiente chiuso.
Un'architettura non più necessariamente collegata alle reti infrastrutturali, ma autonoma da un punto di vista vitale ed energetico.

Nuove scoperte
Il genio di Santiago Calatrava


Santiago Calatrava è una delle figure emergenti di maggior interesse in questa nuova corrente architettonica.
Figura eclettica, fa dell'inter-disciplinarietà la sua filosofia.
Con una doppia laurea, dapprima in architettura e poi in ingegneria, stravolge completamente la visione che era fortemente radicata nei grandi strutturisti degli anni '70.
Se questi vedevano le conoscenze fisico-matematiche alla base dello sviluppo architettonico, Calatrava le vede solo come mero elemento funzionale a favore dell'arte e ad un approccio artistico al progetto.
Calatrava non è solo architetto, è anche artista e scultore, come traspare dalle sue prime opere; il movimento, lo slancio spaziale sono alla base delle sue opere, architettoniche e non.

Sottile ma importante è la sua differenza con i grandi architetti high tech dei decenni precedenti.
Lui dedica si ampio spazio alla ricerca di nuove soluzioni e sviluppi grazie alla scienza, ma i suoi materiali sono materiali tradizionali, ma assemblati alla luce di una ricerca plastica che fa di lui un'artista, architetto, ingegnere.
Nella stazione Stadelhofen dimostra di essere un progettista di sezione che lavora per sovrapposizione di piani; l'alleggerimento dei materiali e delle strutture è pensato per mettere in luce gli aspetti funzionali, strutturali e le relazioni con il terreno.

Il movimento in Calatrava


La base del progettare di Calatrava è una tensione plastica ed estetica rivolta verso le membrature.
La scultura è la base, l'ingegnere l'arte del possibile, l'architettura la necessaria conseguenza.
Ma è l'amore per le strutture vegetali e anatomiche la linfa delle sue realizzazioni, non tanto dal punto di vista della sagomatura degli elementi che le compongono quanto la loro capacità di muoversi.
Santiago Calatrava è un innovatore anche in questo tema nuovo, la mobilità delle strutture.
Persegue con tenacia, una sua visione delle membrature strutturali che non si presentano rigide, statiche, ma vive, inclini al movimento, come se si trattasse degli arti di un essere umano o delle foglie di un albero mosse dal vento.

Questo da vita alle porte pieghevoli dei Magazzi Ernsting o nelle costole semoventi nel Padiglione dello Swissbau a Basilea che sono alla base dell'organizzazione del progetto.
Quattro sono quindi i temi che ricorrono nell'architettura di Calatrava: la scultura come base d'ispirazione, l'ingegneria come scienza del possibile, la ricerca scientifica e infine l'amore per la natura e per le sue strutture vegetali e anatomiche.

Rem Koolhaas


Altro architetto formatosi in un ambiente basato sulla multi-disciplinarietà è Rem Koolhaas, con studi che lo vedono dapprima vicino al Situazionismo di Constant e poi lo avvicinano e lo portano a frequentare l'Institute for Architecture and Urban Studies.
Nel 1977 scrive un libro che animerà parte dei successivi dibattiti architettonici.
Delirious New York è un nuovo modo di vedere la città sotto un rigido occhio calvinista.
Koolhaas analizza la città assumendone la realtà economica, sociale e artistica come mai nessuno ha fatto, ma isolandola da tutti i suoi connotati politici o ideologici, centro invece focale di buona parte delle disquisizioni urbanistico | architettoniche di quegli anni.

La sua è un'architettura basata sulla frammentazione e sul simbolismo, con un'accettazione di un principio sommatorio e additivo, e quindi a-compositivo, alla base della creazione della città (a differenza dell'approcio tipologico | morfologico di Rossi).
I suoi disegni esemplificano questo approccio: dapprima vengono mostrate le singolo unità, che in seguito, nei disegni successivi, vengono plasmate e sommate alle altre, in un vero e proprio processo additivo.
Significativi sono, in quest'ottica, i suoi disegni dell'epoca per la città di Lille (Euralille).

Ma l'opera che assume la maggior rilevanza è la casa Floriac a Bordeaux del 1998.
Pensata per un proprietario disabile, Koolhaas stravolge letteralmente il concetto di mobilità e fruizione verticale dell'edificio.
Invece di utilizzare una rampa, la soluzione è innovativa quanto straordinaria: un'intera parte del solaio si solleva e si abbassa grazie ad un pistone idraulico.
Cambiano letteralmente le considerazioni abituali sullo spazio domestico, e proprio questo assieme all'energia fredda del "concept" sono i cardini della forza di questo progetto.

Nuove trasparenze e superfici profonde


Due opere emergenti in questi anni, determinano nuovi parametri progettuali.
In particolare l'attenzione si sposta sul tema della superficie e della bidimensionalità che in questo ambito acquista profondità e ambiguità prima del tutto inaspettate.
La prima opera è la "Fondazione Cartier" a Parigi di Jean Nouvel.
Ad un primo sguardo l'opera sembra la quintessenza del funzionalismo, di un approccio pragmatico ed industriale all'architettura. Come l'informazione meccanica e scientifica è uno stimolo univoco ed unilaterale, così lo è la superficie trasparente, razionale nella sua semplicità che altro non fa che trasmettere input in modo unilaterale.
Nel mondo dell'informazione ciò non accade, ogni informazione è articolata, layerizzata ed aperta a molteplici visioni ed interpretazioni. Nouvel coglie questa differenza e da vita ad un nuovo modo di sentire la trasparenza, usata da lui stesso in modo illusionistico e superficiale.
La trasparenza per la prima volta non è più legata all'oggettività della macchina ma alla pluralità evasiva e all'allusività dei media; essa diventa "iper" contestuale e personalizzabile grazie ad un ulteriore strato elettronico.

L'altra opera di cui si parla è degli svizzeri Herzog e De Meuron, ovvero la "cabina delle manovre ferroviarie" a Basilea.


Il tema approfondito qui dai due architetti è quello della pelle e della stratificazione.
Così come la pelle di un essere rivela inaspettate profondità emotive, caratteriali, storiche, psicologiche, così la superficie esterna di un edificio può essere tutt'altro che un tema superficiale, ma un vero e proprio campo di studio.
Per esaltare ciò gli architetti molte volte ricorrono a forme scatolari con carenza di elementi disaggregativi.
Anche a Basilea si è di fronte ad un volume "puro" ma in cui tessiture e vibrazioni, presentano il tema della "pelle superficiale" in un'accezione mai colta prima.

Spazi nuovi


In questa nuova epoca, così carente di spazi e luoghi, l'architettura non nasce più dal nulla, ma si incunea, si radica, si sviluppa in ambiente già esistenti.
Una delle opere cardine di questo sentire è sicuramente il "Centro le Fresnoy" di Bernard Tschumi.
Estremizzando si potrebbe considerare come una sorta di Bauhaus del XXI secolo.
Si tratta infatti di un centro di risorse multimediali, due cinema, auditorium, sale fotografiche e d'arte.
Affascinato dalle spazialità interne create dalla sovrapposizione Tschumi non abbatte i volumi preesistenti ma vi sovrappone una nuova copertura che li unisce sotto un unico manto.
E' un luogo che da vita ad innumerevoli fughe prospettiche e da vita ad una serie di camminamenti e passerelle molto articolato.
Il progetto apre alle relazioni tra il nuovo e l'esistente, tra il passato industriale e il presente elettronico e mediale, tra l'idea di esterno e quello di interno oggi, tra i movimenti rigidi di un corpo meccanico e uno fluido legato alle informazioni e alle interconnessioni.

Processi di progettazione in Peter Eisenman


Da sempre affascinato dall ricerche archeleogiche, dal "tra", dall'algebra booleana, dalla filosofia compositiva dietro al suo lavoro, dai frattali, dalle suggestioni biologiche, Eisenman in questo momento introduce una tecnica nuova che risolve uno dei problemi architettonici di questo periodo: il movimento.
Le prime architetture che tenteranno di analizzare il tema del movimento sono: quella futurista, che si affida al mito della neonata scienza atomica, della velocità, del mezzo di trasporto figlio della società industriale (aereo, automobile, treno); quella costruttivista che con Tatlin esplora la forma della spirale e la sua capacità di librarsi nell'area in un movimento avvolgente; quella di Mendelshon e di Gropius, nel primo movimento come forze gravitazionali, nel secondo movimento come forza centripeta.

Ma le arti che più esplorano questo complesso tema furono le avanguardie dei primi anni del 1900 che tramite la scultura, la pittura, la fotografia cercarono di dare una nuova definizione del movimento.
Tante cari a Eisenman furono proprio questi studi artistici, in particolare di artisti come Balla (Dinamismo di un cane al guinzaglio) e Duchamp (Nudo che scende le scale); partendo da queste ispirazioni sviluppa una nuova tecnica che mai prima era stata usata in architettura: il Blurring.
Il Blurring o "sfocamento" fa la sua prima comparsa in una casa unifamiliare del 1988, la "Casa Guardiola" a Cadice.

Eisenman disegna la casa sul movimento ondulatorio di una "L". Le geometrie che nascono da ciò vibrano, dondolano, ruotano una sull'altra in pianta sezione e alzato. Attraverso questo movimento si vanno a creare nuovi spazi, intersezioni, una nuova estetica.

L'architetto deve affrontare in questi anni anche una nuova sfida, la progettazione di una scuola di architettura a Cincinnati, il Centro Aronoff (1988-97).


La progettazione nasce mediante un processo di collaborazione con studenti, professori, dottorandi. 
Eisenman riprende alcuni temi precedentemente esplorativi come quello dell'incunearsi "tra", ma vi aggiunge alcune delle idee sviluppate negli ultimi anni.
La richiesta dei committenti era ristrutturare la vecchia sede e affiancarvene una nuova che raddoppiasse la superficie utile. L'idea geniale nasce quando Eisenman decide di applicare la tecnica del Blurring ad entrambe le architetture, quella preesistente e quella nuova; ne nasce un moto ondulatorio doppio: uno più geometrico, del vecchio edificio funzionalista, uno più fluido generato dai nuovi volumi.
Il tutto è costellato dal gioco di incastri, sottrazioni, intersezioni che dettano l'articolazione dei nuovi spazi, dei volumi e delle geometrie terrazzate e vegetali che si innestano sul sito.

Eisenman e la città


Un progetto urbano innovativo e ricco di spunti interessanti, tanto da vincere il primo premio al concorso, per la città di Berlino è quello di Peter Eisenman per Rebstock Park: caratterizzato da alcuni meccanismo quali il folding (piegatura), lo scaling (riduzione | scalatura) e il graft (l'innesto).
Le sue considerazioni di base nascono dal rapporto tra edifici e suolo che, a suo giudizio, risultano come "scollati", senza nessuna connesisone. A questo fenomeno egli risponde con il concetto di tessuto, ovvero il terreno deve diventare una lastra su cui poggiare i volumi, in un insieme di edifici, sistemi verdi e lastricati strettamente variegati e interconnessi.
Il progetto è diviso in tre tracciati: uno a maglia larga, uno a maglia fitta e uno mistilineo che segue in confini ondulati dell'area di progetto; il risultato è un insieme  ricco di curate eccezioni che rappresentano un'ottima risposta al tema dell'urbanistica moderna nella civiltà dell'informazione, Eisenman infatti non propone nè un funzionalismo anni Venti e nemmeno una casa a corte nostalgica degli anni '80 ma piega il progetto alle sue decennali ricerche e all'analisi della civiltà sua contemporanea.

Spazio sistema in Frank Gehry
Danze d'architettura


Se analizziamo le opere di Gehry troviamo un'interessante filo conduttore nelle sue articolazioni spaziali: da una parte gli spazi sono concepiti come scene teatrali, dall'altro questa scena si trasforma in personaggi-volumi alla continua ricerca del movimento e quasi presi da una voglia di "danzare" nello spazio.
Ambienti così dinamici stimolano anche le persone, incentivano al sociale.
E' proprio ciò che succede in Gehry nel suo progetto per la "F.Goldwyn Library" (1983-1986). All'interno di un'area degradata nasce un progetto simmetrico, con due "navate" laterali e una "navata" maggiore centrale, all'interno è la luce e la volumetria che fa da padrona, con un vivace gioco di volumi e compenetrazioni che danno la sensazione di uno spazio dentro l'altro; sembra uno spazio simmetrico ma pervaso di una forte tensione dinamica. Una danza in fase di riflessione, come avviene nei balletti.


Linea retta o curva?
Gehry in questo periodo, riflettendo su una famosa frase di Boccioni: 
"la linea retta è il solo mezzo che possa condurre alla verginità primitiva di una nuova costruzione architettonica delle masse e delle zone scultorie"
si accorge che anche nelle opere del maestro stesso non c'è traccia di linea retta che, complici il movimento e la sua proiezione nello spazio, si deforma fino a confluire in masse sinuose e dinamiche.
Proprio in questa sua riflessione che crea un collegamento forte e diretto tra scultura e architettura Gehry concepisce un'opera, il museo Vitra, che farà da apripista alle due opere che lo innalzeranno nell'olimpo degli architetti di fine secolo scorso: l'"Auditorium Disney" a Los Angeles (1988-2002) e il "Guggenheim Museum" a Bilbao (1991-1997).

Auditorium Disney


L'auditorium è un progetto di grande complessità.
Pensato per contenere 2.400 spettatori, dal suo primo schema datato 1988 ha subito innumerevoli modifiche sia di forma, sia di posizionamento all'interno del lotto stesso.
La sala concerti, originariamente collocata su un angolo viene spostata al centro del lotto; gli spazi aperti vanno ad incunearsi nelle pieghe lasciate libere dai locali accessori, il perimetro dell'isolato viene eroso dai vari percorsi di attraversamento e da macchie verdi donate alla città.

Notevole è anche l'accortezza con la quale viene progettata la grande sala concerti dell'Auditorium.
Di forma speculare sul suo asso longitudinale presenta dei requisiti acustici opportunamente rispettati grazie a listelli arcuati che formano rigonfie vele che pendono dal soffitto.
La grande forza scultorea di questi progetti è data dagli spazi accessori, che posti attorno alla grande sala possono essere configurati con grande duttilità e libertà, stratagemma usato in tempi passati sia da Piano che da Rodgers, ma mentre in loro risolveva dilemmi solamente funzionali, in Gehry serve per una manipolazione prettamente plastica ed espressiva.

Il Guggenheim


Opera chiave della fine del XXI secolo il Guggenheim di Bilbao si inserisce in un quartiere fortemente degradato, in un lotto scelto dalla stesso Gehry, secondo un'insolita modalità insita nel concorso e che vuole essere per il progettista anche un punto di partenza per una riconversione e riqualificazione dell'area cittadina.
L'idea principale è di corpi che si intrecciano, intersecano e abbracciano l'uno con l'altro per terminare con un grande volume allungato che si insinua sotto al ponte disegnando nello skyline di Bilbao un unicuum mondiale senza precedenti e, a mio giudizio, oggi ancora difficilmente eguagliabile.

Interessante è anche l'ideologia moderna che c'è dietro al tema del museo, visto come vera e propria cattedrale dei giorni odierni, con l'atrio a svolgere la funzione dell'altare e il corpo delle installazioni da vedere come una vera e propria navate. Una cattedrale che presenta anche il proprio campanile.
Gehry dimostra come saper fare un'architettura moderna, plastica, informativa, innovativa senza perdere il contatto con la realtà e con il background architettonico dell'umanità, riesce inoltre ad inserirsi in un contesto degradato, riqualificarlo e fare in modo che esso stesso sia architettura, non solo l'edificio da lui progettato.

Spazio organo | Spazio sistema


In conclusione nel capitolo da me analizzato si pone l'attenzione su come da uno "spazio sistema" si è passato ad uno "spazio organo".
Nel primo caso la forma dell'edificio si conformava per la funzione che esso era destinato a svolgere, ecco ad esempio il perchè dell'immagine del Guggenheim di Wright.
Nel secondo caso invece l'idea di spazio implica la creazione di un edificio la cui forma non sia basata solamente sulla funzione che si dovrà svolgere al suo interno, ma da più layer indipendenti che andranno ad intersecarsi, a fluire l'uno dentro l'altro fino quasi a scomparire, in una totalità che sarà difficilmente analizzabile se non rapportata alla fusione delle sue parti.
E' un nuovo modo di fare architettura, un modo avvincente, rivoluzionario che mai prima d'ora aveva trovato piede e spazio nel mondo, un nuovo metodo strettamente legato all'information technology e al paradigma informatico.


Per chi volesse reperire l'opera completa:

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